Si dice che il modo migliore per valutare l’efficacia di un titolo di studio dipenda dalla possibilità che esso offre, a chi lo ottiene, di trovare un impiego. Difficile vedere altri metodi per valutarlo, perlomeno nel mondo di oggi. D’altronde, in un periodo dove l’occupazione continua a scarseggiare, il bagaglio di conoscenze offerto da un corso di studi che professionalizza è il più facilmente spendibile nel mercato del lavoro.
Fermo restando che le qualità del singolo individuo hanno un peso determinante nel raggiungimento dell’obiettivo, non si può disconoscere che una preparazione ben orientata rappresenta un punto di partenza vantaggioso. Ciò significa che il peso specifico di determinate materie è maggiore di quello di altre, nonostante ogni disciplina garantisca, di per sé, un arricchimento culturale utile alla persona.
Secondo un’indagine compiuta dal portale Economia Italia, i corsi di laurea dove chi è diplomato ha una figura professionale più richiesta dal mercato sono statistica, ingegneria edile, ingegneria informatica, economia, medicina, chimica farmaceutica e scienze infermieristiche. Si desume che i risultati delle ricerche compiute da altri organismi, pubblici o privati, non siano troppo diversi.
E le altre materie? Nessuno le definisce inutili – sarebbe un esercizio affrettato di taglia e cuci – ma è giusto chiedersi se la loro conoscenza vada stimolata con metodi diversi da quelli utilizzati finora.
Lo sfogo della domenica è dedicato proprio a questo argomento. Non sarebbe il caso di rivedere i criteri di insegnamento di quelle discipline che sembrano avere perduto quel prestigio che avevano mantenuto fino ad alcuni anni fa?
L’esempio che mi viene spontaneo fare riguarda la storia. È una materia presente negli istituti di ogni ordine e grado, fin dalla scuola primaria, e fa parte integrante del percorso accademico di numerose facoltà universitarie. Accanto al filone di studi storici tradizionale, il quale usa suddividere la storia in antica, moderna e contemporanea, si sono via via affiancati un’infinità di studi di settore, i quali approfondiscono i vari aspetti del sapere storico secondo una prospettiva di tipo specialistico. Non mancano, dunque, gli argomenti. Tutto il nostro vissuto può essere ricostruito sotto la lente di ingrandimento della storia, a prescindere dall’interpretazione attribuita da ogni singolo autore al periodo di riferimento.
Perché sarebbe, dunque, opportuno praticare la storia? Mi sento di dare questa risposta: perché adesso, più di prima, la necessità di conoscere il proprio passato può essere un veicolo importante per programmare il proprio futuro in modo più consapevole. L’indicazione vale sia per chi ha incarichi in ambito istituzionale, sia per i semplici appassionati della materia.
Nel dibattito politico, ad esempio, la parola ha perso gran parte del proprio significato per cui si può affermare tutto e il contrario di tutto. Nessuno si ricorderà mai che cosa hanno detto, solo pochi mesi prima, politici, intellettuali, imprenditori, calciatori ecc. E se fossero smentiti da chi la memoria ancora la possiede, si sentirebbero autorizzati ad accampare scuse improbabili. In particolare, lo studio della storia contemporanea, per troppo tempo poco considerato nei programmi ministeriali, meriterebbe di essere portato avanti in modo meno superficiale e non come semplice appendice delle epoche storiche precedenti.
È, dunque, una materia, la cui conoscenza potrebbe favorire le buone pratiche di comportamento e magari aiutare a comprendere più agevolmente quei risvolti, altrimenti incomprensibili, che hanno segnato la nostra epoca.
Storia contemporanea come cartina di tornasole per comprendere meglio il mondo di adesso? Sono convinto di sì. La memoria storica serve anche a questo. Scrivevano sull’argomento tre autorevoli intellettuali del secolo scorso:
«È un paese di contemporanei senza antenati né posteri perché senza memoria di sé stesso.» (Ugo Oietti); «L’Italia è un paese senza memoria e verità ed io per questo cerco di non dimenticare» (Leonardo Sciascia).
«Noi siamo un paese senza memoria: il che equivale a dire senza storia: l’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio televisivo, e tiene solo i suoi ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo con le sue contorsioni, le sue conversioni» (Pier Paolo Pasolini).
Insomma, non dimentichiamoci lo studio della storia. Forse ci aiuta a diventare cittadini migliori.
Buona domenica e scusate lo sfogo.