«Si ricordi che lei fa televisione, non cinema!»
Quante volte mi sono tornate alla mente queste parole. La frase, in apparenza autoritaria, conteneva, invece, un messaggio di stimolo, di insegnamento e, in fondo, di affetto.
Me la disse tanti fa un «Dio in terra», uno dei più importanti produttori televisivi e pubblicitari italiani di quel periodo: Brunetto Del Vita. Ai colleghi più giovani il nome dirà nulla di particolare, ma chi ha potuto conoscerlo di persona, e ha avuto modo di lavorare con lui, può ben dire di avere avuto un’opportunità di crescita professionale straordinaria.
Brunetto Del Vita è stato presidente di Teletruria tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, in un periodo nel quale le emittenti televisive private vivevano ancora la loro fase pionieristica. Faceva il pendolare fra Arezzo e Milano, dove dirigeva un importante studio pubblicitario e dove rimaneva dal lunedì al venerdì, per poi venire ad Arezzo nel fine settimana.
Lo conobbi nel 1982, quando misi piede per la prima volta nella sede storica dell’emittente, in corso Italia, nel pieno centro della città. Non ero ancora un collaboratore: lo sarei diventato, a pieno titolo, solo un anno più tardi. In quel periodo facevo ancora parte del gruppo di lavoro della radio (Radio Ok) e alternavo l’attività radiofonica con la stesura di articoli per alcune testate, tra le quali La nazione, dalla quale avevo appena ottenuto un piccolo contratto a cachet. Proprio la collaborazione con un periodico locale (Arezzo sport) era stata la chiave d’ingresso per approdare in televisione.
Il caso Mercatale
Non ricordo bene la dinamica, fatto sta che il mio nome fu segnalato ai dirigenti di Teletruria per realizzare, da esterno, un servizio molto impegnativo, forse fin troppo per un giovane di 19 anni, quasi digiuno delle tecniche della tv. Insieme con l’operatore Franco Casi e il professor Piefrancesco Greci fui spedito a Mercatale di Cortona, un paese al confine tra la Toscana e l’Umbria, nel quale un organo giudiziario napoletano aveva destinato al confino un appartenente alla criminalità organizzata. Non avevo l’incarico di intervistarlo, quanto piuttosto di raccogliere le reazioni degli abitanti del luogo, costretti a vivere, loro malgrado, una vicenda del tutto inusuale. Raccolsi una lunga serie di interviste e di immagini e feci ritorno ad Arezzo con un ricco corredo di appunti. Il servizio fu poi montato in presenza di Greci e mia.
Il materiale filmato andò, quindi nelle mani di Del Vita, il quale, con attenzione certosina, lo visionò ed espresse il suo parere. «Le riprese possono andare, ma lei ha fatto un servizio cinematografico, non televisivo. Il suo parlato – mi spiegò a quattrocchi – non ha un riferimento diretto alle immagini. Lei deve collegare le immagini al parlato. Chi segue la televisione può essere distratto da altre cose e la sua attenzione deve essere catturata; l’esatto contrario di quanto accade nel cinema, dove la visione del film è obbligata, a meno che si decida di lasciare la sala. A parte questo lei mi piace, ha una bella voce, e una buona proprietà di linguaggio: mi venga a trovare».
E fu così che, ancora da esterno, sotto la sua supervisione, feci il mio secondo servizio per Teletruria. In verità non andò mai in onda e, d’altronde, con Del Vita, non vi era speranza che potesse andarci, se non dopo un lavoro di preparazione molto accurato. Andai con lui a Poppi, dove era in programma la riunione di un’associazione di categoria del settore turistico. Ricordo ancora l’impegno che mi richiese nella ricerca della posizione nella quale intervistare l’organizzatore: non un luogo qualsiasi, ma lo sfondo del castello di Poppi, ripreso da una certa angolatura e al quale avrei dovuto fare sempre riferimento nelle domande al mio interlocutore.
«Direttore – chiesi all’intervistato con il castello sullo sfondo – lei è di Poppi. Qual è l’impegno che si sente di prendere per il suo paese in ambito turistico?»
La domanda alla quale Del Vita mi aveva indirizzato, e la scelta del luogo dell’intervista, rappresentarono un autentico concentrato di tecnica televisiva.
Poi se ne andò, lasciò Arezzo e tornò in pianta stabile a Milano, al suo grande studio di produzione pubblicitaria. Lo persi di vista. Seppi che morì, ancora giovane, nel 1989. Riposa al cimitero Maggiore. Lo ricordo come una persona rara, lontana da qualsiasi atteggiamento strisciante o di compromesso, peraltro molto frequente negli ambienti dello spettacolo e della tv, dove la provvisorietà è il connotato più ricorrente.
A distanza di molti anni conservo ancora tutto il buono che mi ha lasciato e quando vedo, di tanto in tanto, la celebre pubblicità delle pentole Lagostina, con il personaggio animato della linea, mi viene spontaneo ripensare a lui che ne era l’autore.
Brunetto del Vita, qui ritratto nel film Un certo giorno, di Ermanno Olmi. Foto di Johnny Freak – scatto di scena, Pubblico dominio.