Tutto è cominciato da alcune vecchie cartoline a colori ritrovate nel cassetto del mobile di casa. Erano un po’ spiegazzate, benché conservassero un’immagine ancora ben definita. Risalivano a più di cinquanta anni fa e ritraevano la pineta di un campeggio in un luogo di mare. Non erano cartoline anonime, almeno per chi le aveva prese in mano. Erano i luoghi della sua infanzia. Lì aveva fatto le prime conoscenze fuori dall’ambiente domestico e sempre lì aveva scoperto, in modo consapevole, l’esistenza di un genere umano con un sesso diverso da quello maschile. Le osservava con attenzione mista a curiosità, ricavandone sensazioni difficili da descrivere.
Tanto era bastato per fargli maturare il desiderio di tornare a visitarli, spinto dall’illusione di rivivere emozioni analoghe a quelle vissute in passato.
RICERCA IN SOLITUDINE
Decise di farlo da solo, forse per esserne coinvolto più profondamente, o, forse, per non infastidire nessuno, come se l’eventuale condivisione del viaggio con qualcuno avesse potuto diventare un peso reciproco. Poteva essere una scelta criticabile, non priva di una vena sottile di misantropia, ma definirla sbagliata era eccessivo. Questione di gusti, direbbero gli altri.
La ‘presenza di qualcuno accanto a lui lo avrebbe costretto a narrare e a rispondere, l’ultima cosa che, in quella situazione, avrebbe voluto fare. Cercava, invece, di vivere quel viaggio nella propria intimità, rielaborando dentro di sé i momenti vissuti nei medesimi luoghi della cartolina. Non voleva, insomma, dipendere da nessuno, se non da sé stesso.
E poi avrebbe avuto davvero senso raccontare? Il racconto, per sua natura, costringe al rispetto di un certo stile narrativo; altrimenti diventa un insieme di frasi sconnesse, prive di un filo logico, perfino difficili da interpretare. Viceversa le emozioni, se sono ricollegate alla logica, perdono quella freschezza che le contraddistingue.
Per questo motivo si mise in strada di buon mattino per conto suo. Lo fece in quelle ore del giorno nelle quali la notte comincia evaporare e i contorni del paesaggio diventano sempre più nitidi.
QUANDO LA NOTTE EVAPORA
Seduto al volante della sua auto, ebbe la percezione di quante cose fossero cambiate rispetto agli anni dell’adolescenza. Le strade percorse in età giovanile erano state sostituite da una moderna superstrada a quattro corsie, la quale se da un lato permette di mantenere velocità più elevate, con un bel risparmio di tempo, dall’altro toglie al viaggio il carattere dell’avventura.
Decise di fermarsi nei pressi di un viadotto, proprio mentre stava albeggiando. Il tempo di uscire dall’abitacolo, di sgranchirsi le gambe e di assaggiare l’aria frizzante del primissimo mattino. Lo strapiombo del viadotto appariva ancora più profondo come se il fondovalle, in parte avvolto dalla nebbia, non fosse nemmeno riconoscibile. Il traffico era modesto, quasi inesistente. Ripensò a quante volte, da bambino, era passato dalla vecchia strada, ai piedi del ponte, a bordo dell’auto guidata dal babbo. Gli vennero subito alla mente gli aneddoti che gli erano stati raccontati quando la costruzione del viadotto doveva ancora essere terminata. «Chissà che cosa succederà quando passeremo da lassù», si chiedevano gli automobilisti di allora guardando il pontone dal basso verso l’alto.
E oggi, quelle frasi, pronunciate con innocente candore, appaiono ingenue, quasi improponibili, in un mondo dove il piacere della curiosità ha preso connotati più maliziosi rispetto al passato.
RITORNO AL PASSATO
Arrivato a destinazione, nel paese lungo la costa, si fermò in un bar per prendere un caffè. Non era un locale qualunque. In quello stesso luogo era solito fermarsi da bambino con i genitori, secondo un’abitudine mantenuta per parecchi anni ancora. Varcata la soglia d’ingresso, non riconobbe quasi nulla del locale di un tempo. I mobili e gli arredi erano nuovi di zecca, il banco della pasticceria, prima limitato a pochi prodotti da forno, era rifornito di un cabaret di paste di varie forme e colori; lo spazio una volta riservato al telefono a gettone era adesso occupato da una scrivania con una moderna postazione internet.
Nel sorseggiare il caffè provò a riconoscere qualche volto amico dall’altra parte del banco ma senza ricevere soddisfazione al suo desiderio di conoscenza.
L’origine della ragazza che lo servì, non italiana, sgombrò il campo da ogni dubbio: tutto era cambiato lì dentro e a nulla sarebbe servito fare il nome dei vecchi titolari per avere notizie su dove fossero finiti. Erano nomi che appartenevano, ormai, al passato, in parte dimenticati, conosciuti da qualche anziano abitante ancora in vita.
I SENTIERI DELL’ADOLESCENZA
Decise quindi di fare due passi sul lungomare, per poi riprendere la macchina e dirigersi verso quel campeggio rivisto nelle cartoline di casa. Era andato lì per quasi vent’anni, gli anni dell’adolescenza e della giovinezza, quelli nei quali si riesce ad avere la percezione più autentica delle cose e nei quali non ci si può sottrarre alle prime autentiche esperienze di vita.
All’ingresso del campeggio, si rese conto che i gestori erano quasi tutti cambiati rispetto al periodo della sua adolescenza; ragazzi giovani avevano preso il posto dei vecchi titolari. Ne era rimasta solo una: una signora di origine svedese la quale aveva iniziato il suo lavoro al camping in età adolescenziale e adesso era diventata nonna. Le spiegò di essere stato, per anni, un loro cliente e le domandò se fosse stato possibile entrare all’interno per rivedere quei posti frequentati, per molte estati, da piccolo vacanziere. Nessuna obiezione e nemmeno la richiesta di un documento d’identità: solo un sorriso e l’invito ad accedere.
Il tempo si era azzerato: passato e presente convergevano in un’unica dimensione. Se ne rese conto appena alzò lo sguardo. Si muoveva con disinvoltura camminando lungo le stesse strade e gli stessi viottoli percorsi da bambino passo dopo passo. Rumori, profumi e atmosfere familiari lo avvolsero in una dimensione strana, come se la scansione temporale fosse stata azzerata di colpo. Rivolgeva lo sguardo a destra e a sinistra con curiosità, quasi a voler cogliere quelle immagini che lo avessero ricondotto a esperienze analoghe già vissute nello stesso luogo. Eppure si rese conto di provare un’emozione strana: quella di essere solo in un luogo amico. Si sentiva, al tempo stesso, libero e perso.
Continuò a camminare e gli venne quasi naturale ripensare a come erano gli stessi luoghi alcuni anni prima: era un esercizio forse sterile, ma che aveva il piacere di fare.
Si sedette al tavolino del bar e chiese il secondo caffè della giornata. Era in pace con sé stesso. Si rese conto che gli stimoli che avvertiva non dipendevano dalle persone che vedeva, ma solo dal luogo in cui si trovava. D’altronde, non conosceva più nessuno: erano tutti volti sconosciuti in un luogo familiare, volti con i quali sarebbe stato difficile avviare una qualsiasi forma di dialogo.
Il suo modo di essere lo portava a osservare la realtà come se non fosse visto. Guardava il mondo fuori da sé senza il pensiero di essere notato, come se scrutasse la realtà attraverso uno specchio. Uno specchio che non riflette. Non poteva intervenire perché era un semplice spettatore. L’idea di alzarsi dalla sedia e di andare verso qualcuno, come aveva fatto tante volte, per molti anni, sarebbe stato un gesto sconveniente.
Se ne stava immobile. Nulla gli sfuggiva e tutto lo attraeva, ma erano sensazioni custodite dentro di sé, ben sapendo di non avere alcun modo di manifestarle.
MARE, SPECCHIO INFINITO
Decise quindi di proseguire verso la spiaggia. Il mare era poco più avanti. Osservandolo, in silenzio, nell’atmosfera tipica degli ultimi giorni della stagione balneare comprese di quanto fossero effimere le storie di noi esseri umani. Lo specchio d’acqua era tranquillo e la spiaggia quasi deserta. Solo il mare era rimasto quello di sempre. Per il resto, molte cose erano cambiate e tanti protagonisti di alcuni anni prima se ne erano andati.
Una sensazione toccante verso la quale, tuttavia, non provava particolare imbarazzo. Sarebbe rimasto in quella posizione ancora a lungo ma era ormai il tempo di chiudere la parentesi.
Riprese la via del ritorno, a passo calmo e con lo sguardo in avanti e salutò i gestori del campeggio accennando un sorriso.
Si congedò e riprese la strada per rientrare verso casa, compiendo, in senso inverso, l’identico tragitto fatto all’andata. Il tempo trascorre ma, in fondo, non cancella mai nulla.