Il ponte ferroviario in fotografia è quello vicino al piccolo paese di Bagnaia, in provincia di Viterbo. Per le sue caratteristiche architettoniche viene segnalato anche nell’enciclopedia Treccani. Fu costruito tra il 1910 e il 1913 ed è quello sul quale corre la linea ferroviaria Roma-Civita Castellana-Viterbo, superando la strada Ortana che si snoda proprio lì sotto. Si tratta di un viadotto in possesso anche di una certa notorietà cinematografica.
Molti di coloro che leggono queste righe si ricorderanno di avere visto il celebre film Il vigile di Luigi Zampa, con Alberto Sordi e Vittorio De Sica, girato nel 1960. Lo sfaccendato Otello Celletti (Sordi) viene assunto in comune come agente della polizia municipale: durante lo svolgimento delle sue funzioni, viene a scoprire, in modo casuale, una relazione extraconiugale del proprio sindaco (De Sica), col quale poi entra in competizione elettorale. Verrà costretto a rinnegarla per riavere, di nuovo, il suo posto di lavoro in divisa.
Il viadotto di Bagnaia è facilmente riconoscibile in molte scene filmate, in particolare quelle dove un’auto, o una motocicletta, si mettono in moto e percorrono la strada nell’uno o nell’altro senso.
Lo sfogo di questa domenica riguarda quindi lo stato di conservazione delle infrastrutture, una parte delle quali fanno ormai parte integrante del paesaggio tipico italiano.
Una domanda frequente
Ci si domanda per quale motivo una parte di quelle concepite in epoca poco recente, denotino un livello di conservazione migliore rispetto ad altre, costruite, invece, in epoca più moderna. Abbiamo preso come riferimento il viadotto ferroviario di Bagnaia, ma potremmo farne altri, in ogni regione. È possibile che le imprese di costruzioni operanti nelle epoche passate disponessero di strumenti di qualità superiore a quelli di adesso? La risposta, ovviamente, è no, così come è negativa anche quella che ipotizza migliori i progettisti di allora rispetto a quelli di oggi.
Calcestruzzo sì o no?
Gli esperti suggeriscono di fare riferimento al tipo di materiale utilizzato e, in particolare, all’impiego crescente del calcestruzzo. Questo materiale, con il quale sono state edificate le opere di ingegneria più moderne, è stato scoperto durante la metà del XIX secolo. Ancora non è dato di sapere, con esattezza, per quanto tempo esso sia destinato a durare. I ponti moderni, segnalano gli esperti, sono costruiti in calcestruzzo armato. Si tratta di una soluzione composita, basata sul cemento, sull’acqua, sulla sabbia e sulla ghiaia, la quale viene armata con l’impiego di apposite sbarre di ferro e di acciaio. Si tratta di un composto, per sua natura, soggetto a indebolimento. La corrosione può aggredire l’armatura di ferro e compromettere la resistenza alla trazione.
Alle debolezze del calcestruzzo in sé, si aggiungono quei piccoli, gravi, compromessi attuati da alcune imprese – non tutte, ovviamente – per risparmiare tempo e denaro. Capita che i costruttori più spregiudicati riducano la sezione dei tondini in ferro e inseriscano quelli lisci al posto di quelli zigrinati. Non è poi così infrequente l’impiego della sabbia di mare al posto di quella di fiume, con l’aggravante che la sua salinità facilità la corrosione dei tondini già indeboliti dalla minore ampiezza della sezione. Il resto sta nella manutenzione, non sempre all’altezza, e nel logorio causato dal passaggio dei mezzi.
Una serie di concause, quindi, che determinano una situazione perfino drammatica. Basta ricordare il crollo del ponte Morandi, a Genova, 51 anni anni dopo la sua apertura (1967-2018).
Tutto quindi si ricollega all’essere umano, alla sua professionalità e alla sua coscienza. Non credete che siano valori essenziali dai quali ripartire?
E non è una morale. Buona domenica e scusate lo sfogo.