Oggi è il 14 giugno. Questo blog è nato poco più di un mese fa. Se è vero che è necessario garantirgli sempre un certo dinamismo, sia nei contenuti, sia nell’immagine, è giunto il momento di rinnovarlo. Finita la fase 1, per usare un tipo di espressione molto ricorrente, inizia la fase 2. Proprio per questo motivo, s’inaugura, oggi, la prima di una nuova sede di rubriche.
Si intitola Lo sfogo della domenica, dove la parola sfogo vuole essere un modo per esprimere il proprio disappunto su qualcosa che non torna. Sfogo civile, si capisce, ma sfogo rimane.
Beninteso, non si intende personalizzare le critiche, né tantomeno puntare l’indice verso qualcuno , quanto, piuttosto, evidenziare una situazione di disagio, comune al sentire popolare.
Lo spunto del primo sfogo viene dai ritardi, quasi pachidermici, nella realizzazione delle grandi infrastrutture, soprattutto di edilizia stradale. Il problema è diffuso, riguarda l’intero territorio nazionale, così da rendere il rifacimento del viadotto sul Polcevera una piacevole eccezione. A fronte dell’esperienza genovese, rimangono, invece, molti esempi di scarsa efficienza, con relativi miliardi di euro di denaro pubblico mandati in fumo. Così non va!
Dice che una volta non erano disponibili i mezzi tecnici di adesso. Considerazione scontata, perfino banale. Il progresso c’è stato anche nelle tecniche di ingegneria. Le mega frese per gallerie, per esempio, si sono affiancate ai metodi di scavo tradizionale, quelli, cioè, con l’uso prevalente dell’esplosivo, accelerando le procedure operative all’interno dei cantieri. Eppure, l’equazione non torna. Da un lato sono migliorate le tecniche costruttive, dall’altro si sono dilatati i tempi tecnici di compimento. Non dovrebbe essere il contrario?
Mentre prima le grandi opere si costruivano in un arco di tempo ragionevole, per non dire ristretto – otto anni per l’intera Autostrada del Sole, da Milano a Napoli – oggi si assiste, in modo quasi sistematico, allo slittamento nell’esecuzione dei lavori, una parte dei quali procede a singhiozzo, se non, addirittura, si blocca completamente.
Tutto questo accade malgrado le sollecitazioni dei territori interessati siano frequenti: territori i quali rimangono, però, poco coinvolti quando vanno a sedersi al tavolo decisionale. Conferenze, incontri, anche in sede ministeriale, paiono aggrovigliare, anziché dipanare, il bandolo della matassa e più la fase preliminare si trascina nel tempo, più si capisce che lo sblocco dei cantieri sia ritardato. Più se ne parla, dunque, e meno la situazione si evolve. In questo senso non aiutano né il costante rimbalzo di competenze, né i freni imposti dalla burocrazia. Se, dunque, l’efficienza di un sistema si misura anche dalla rapidità di costruzione delle opere pubbliche, in Italia qualcosa non torna. E, in tutta sincerità, non è un dato incoraggiante. Come se ne esce? L’esempio viene dall’esperienza legata al crollo del ponte Morandi, a Genova. Quando vi è la necessità inderogabile di costruire una nuova opera, cresce la volontà di farla, i processi decisionali si semplificano e i lacci burocratici vengono sciolti. Perché non è possibile fare sempre così? Lasciamo questo dubbio, anche se forse conosciamo già la risposta.
Buona domenica.