Alzi la mano chi, nella sua vita, non ha portato alla bocca un affettato qualunque. La scelta sul mercato è talmente vasta da accontentare anche i palati più esigenti. Solo chi fa scelte di vita diverse, per gusto o per etica personale, ne rimane indifferente, ma non vi è dubbio che il consumo dei salumi abbia accompagnato, e accompagni tutt’ora, i momenti di ristoro di molte persone. L’abitudine di alimentarsi con il salume a fette è, infatti, frequente, fin dalla giovane età.
Il panino imbottito rappresenta, da alcune generazioni, lo spuntino tradizionale di metà mattinata o meta pomeriggio, se non addirittura il pasto alternativo al pranzo o alla cena.
Il consumo di affettati può essere, dunque, definito universale ed è logico che l’esigenza di rifornirsene, in maggiore o minore quantità, sia comune a un numero molto elevato di consumatori.
La disponibilità dei prodotti consente varie alternative: alcune aziende, ad esempio, per soddisfare le esigenze dei loro clienti, e forse per comodità, usano mettere in vendita il prodotto in vaschette sigillate, evitando così al negoziante di porzionarlo e poi di pesarlo.
Proprio la pesatura dell’alimento e la quantità di denaro che il cliente spende per acquistarlo, è l’argomento dello sfogo di questa domenica. È un problema molto avvertito da coloro che vanno a fare la spesa.
È corretto che la tara della bilancia non sia quasi mai impostata e i consumatori continuino a pagare la carta sul prezzo complessivo del genere acquistato? Si parla di affettati, ma una situazione identica potrebbe riguardare l’acquisto del pane, del formaggio e di altri prodotti alimentari non preconfezionati.
I consumatori si guardano bene dal protestare e, pur di non essere considerati col braccino corto, rinunciano a far valere quello che è un loro diritto, oltretutto sancito da una legge nazionale.
Anzi: chi protesta finisce per fare la figura della persona dalle vedute ristrette, nonostante la legge lo consideri, di fatto, la vittima di un reato: quello di truffa in commercio. La normativa impone, infatti, che la vendita delle merci, il cui prezzo sia fissato per unità di peso, venga effettuata al netto della tara. In certi casi, invece, il compratore è costretto a corrispondere l’importo sul peso lordo, cioè comprensivo della carta. La differenza, è chiaro, non è eccessiva – solo pochi centesimi – ma è disdicevole che alcuni negozianti disattivino la tara della bilancia nel momento in cui collocano il prodotto sul piatto per la pesa.
Mi rendo conto che questo problema esiste da sempre e, forse, i casi riscontrati in passato, quando gran parte della merce veniva venduta sfusa, erano più evidenti di quelli di adesso.
I raggiri sulla tara possono sembrare di poco conto per il consumatore, perché quasi sempre la carta utilizzata per avvolgere il prodotto rappresenta la minima parte del peso complessivo. Ma la situazione esistente oggi, dove le famiglie con minori possibilità di spesa hanno comunque la necessità di risparmiare, può avere, a lungo andare, conseguenze negative. Senza considerare che lo stesso negoziante senza scrupoli compie una scorrettezza nei confronti dei suoi colleghi rispettosi della legge.
Come è possibile risolvere questa situazione? La strada maestra passa attraverso una maggiore consapevolezza dei consumatori, i quali hanno il diritto di segnalare l’irregolarità, prima al venditore stesso e, nel caso, alle autorità incaricate dei controlli.
L’altra strada, forse meno appariscente, consiste nell’andare a fare gli acquisti in un negozio diverso, abbandonando quello gestito dal venditore privo di scrupoli. Il tempo, forse, aiuterà quest’ultimo a ravvedersi.
È vero: in questi periodi, forse, le priorità sono altre e il prosciutto pesato con la carta non rappresenta un’emergenza. Tuttavia, in una fase storica impegnativa come quella che stiamo vivendo, il rispetto delle regole significa, più che mai, rispetto del prossimo e rimane, senz’altro, la migliore dimostrazione di civiltà.
Buona domenica e scusate lo sfogo.