Avevo due anni ed è un’esperienza che ho vissuto solo per via riflessa: ma mi è stata raccontata così tante volte che è come se ne fossi stato partecipe.
Avere una 2CV negli anni sessanta non era comune, almeno in Italia. Mio padre l’aveva acquistata nel 1965 da un rivenditore autorizzato: Dante Mori, il primo concessionario Citroen di Arezzo. Il salone era in viale Michelangelo vicino alle poste ferrovia. Targa Ar 54185. Era incerto se comprare quella o l’850. La scelta era caduta sulla Citroen per la bontà delle sospensioni, nonostante la cilindrata del motore fosse inferiore rispetto a quella della Fiat. Colore verde bosco. Volante e strumentazione di colore bianco. Era prodotta nello storico stabilimento francese di Levallois, il quale, credo, ne abbia sfornate quasi tre milioni dal dopoguerra al 1990.
Mettersi sulla strada con un’auto del genere, soprattutto ad Arezzo, voleva dire farsi subito riconoscere. Credo che in città ne circolassero due, al massimo tre. I modelli che andavano per la maggiore erano altri, nonostante la “2CV”, nella vicina Francia, avesse la stessa popolarità della 500 in Italia.
Nel luglio 1965 era arrivato il momento delle vacanze e dopo essere stata costretta a itinerari di piccolo cabotaggio, la “2CV” doveva affrontare il suo primo, lungo viaggio fuori città. Destinazione: Castiglione della Pescaia.
É opportuno precisare che il tragitto da Arezzo a Castiglione della Pescaia, a metà degli anni sessanta, era molto più impegnativo di quanto lo sia oggi. É facile capire perché. Le strade esistenti nel 1965 erano più disagevoli rispetto a quelle di adesso: il raccordo Siena-Bettolle era ancora da completare, la tangenziale di Siena non esisteva, niente superstrada Siena-Grosseto, niente tangenziale di Grosseto e la stessa strada litoranea castiglionese aveva una serie di tratti in curva, poi eliminati, che rendevano opportuna la diminuzione della velocità. In caso contrario era facile fare direttamente il bagno in uno di quei canali che ancora oggi le passano accanto. Se a questo si aggiunge che il tratto centrale della vecchia statale Siena-Grosseto era sterrato (dal bivio per San Lorenzo a Merse fino quasi a Paganico), è facile capire quali fossero i disagi che s’incontravano lungo il percorso prima di giungere a destinazione.
Partenza! Un’ora e mezzo per arrivare a Siena, su e giù per Monte San Savino, Palazzuolo, Colonna del Grillo, Croce del Chiantino, Pian delle Cortine e Taverne d’Arbia. Altri venti minuti per l’attraversamento di Siena, entrando da Porta Pispini e uscendo da Porta San Marco. Poi un pezzo della statale di Roccastrada, fino a Costalpino e la svolta a sinistra verso Grosseto.
Le frazioni si susseguono una dopo l’altra, con i nomi delle località dipinti sulle case: Sant’Andrea, San Rocco a Pilli, Castello, Filetta, Rancia, Bucacce, Ponte Macereto. Da lì in poi, percorso di guerra. Il bitume scompare, niente asfalto fino quasi a Paganico! Significa avere davanti oltre venti chilometri di strada bianca, dal bivio per San Lorenzo a Merse in provincia di Siena, al podere L’Imposto in provincia di Grosseto.
Poiché la vecchia statale, detta Leopoldina, non è propriamente un’autostrada, la seconda parte del viaggio assume i connotati di un’impresa. Immaginate la povera “2CV”, piccola cilindrata e con il bagagliaio delle vacanze, mentre affronta le salite sterrate nella valle del Farma, la discesa fino alle terme di Petriolo, la risalita fino al Leccio con pendenze superiori al 15%, la gimcana fra gli operai che frantumano il pietrisco per preparare il fondo stradale da asfaltare, la temperatura cocente, mio padre da poco patentato, una strada sconosciuta, il timore di fermarsi senza sapere come ripartire. Insomma un’avventura. L’unico conforto è la presenza di alcuni casolari lungo il percorso: Fercole, Terra Rossa, Dogana, Cannicci. Forse un bicchiere d’acqua si può comunque rimediare. E la 2CV? Arranca, spinge, sbuffa, con il cambio spesso in prima, pur essendo ancora in rodaggio. Inevitabile una sosta a cofano aperto per dare aria al motore.
Chi li aveva visti arrivare a Castiglione della Pescaia, dopo che erano passati anche dentro Grosseto, sostiene che i tre occupanti della “Due cavalli” assomigliavano moltissimo a tre reduci da una battaglia. Il conducente era stanco, la navigatrice pure, la macchina era bianca dalla polvere, le bevande fuori dal termos imbevibili, il serbatoio della benzina prossimo alla riserva.
Però, in fondo, la “2CV” aveva superato l’esame. Mai esame era stato più impegnativo in un’epoca in cui andare al mare, al contrario di oggi, era davvero un’impresa.