1981-82. L’Arezzo rimase primo dall’inizio alla fine del campionato e i tentativi di rimonta delle avversarie furono ricacciati indietro uno dopo l’altro. Gli ottimi risultati raggiunti dalla squadra ci permettevano di lavorare in radio divertendoci. Per un anno la redazione diventò un luogo di incontro di dirigenti, tecnici, giornalisti e semplici appassionati con i quali condividevamo le discussioni sull’Arezzo e, più in generale, sull’intero sport cittadino.
Nelle conversazioni che nascevano in redazione continuavo a non sbilanciarmi: preferivo ascoltare, piuttosto che intervenire; eppure, pur parlando poco al di fuori degli spazi in trasmissione, avevo la sensazione di essere benvoluto. Ricordo esattamente i volti dei giornalisti aretini di allora i quali, ogni domenica, salivano le scale del palazzo per venire ospiti nei nostri studi. Suonava il campanello e andavo ad accoglierli e mai nessuno faceva pesare la sua esperienza professionale al confronto della mia.
Penso a chi non c’è più e al buono che ho ricevuto: Giuseppe Aratoli, Don Renato Bertini, Aldo Chiesa, Mario D’Ascoli, Giuseppe Dragoni, Gianfranco Duranti, Mario Giuliattini, Antonio Morelli, Osvaldo Paglicci, Bruno Pichi, Evandro Pomeranzi e Alessandro Rachini.
Verso alcuni di loro avevo un rapporto quasi di soggezione: ricordo, per esempio, le opinioni espresse con stile discorsivo da D’Ascoli e Dragoni, oppure quelle dell’ingegner Chiesa, corrispondente da Arezzo della Rai di Firenze, meno loquace nei modi ma ugualmente interessante nei contenuti. Con altri colleghi avevo maggiore confidenza e ancora oggi, a distanza di trentacinque anni, quando ci incontriamo, viene facile avviare una conversazione sugli argomenti che più ci piacciono.
La domenica, dopo la fine delle partite, avevamo introdotto e resa abituale la pausa caffè in pasticceria. Prima di andare in onda con la lettura dei risultati e la registrazione delle interviste, scendevamo nel Corso e andavamo da Stefano, sul lato opposto del passeggio, dove il caffè veniva accompagnato dall’assaggio dei bomboloni alla crema appena tolti dall’olio. Un rituale che, in quella stagione, diveniva il pretesto per festeggiare le vittorie molto frequenti ottenute dalla squadra. Meno male che avevamo tutto il tempo di digerirli prima di andare davanti al microfono.
A fine maggio, l’Arezzo, tornò in Serie B e la festa, che coinvolse tutta la città, riguardò anche la stampa. Fu una festa alla quale, con toni diversi, si accompagnò quella per la vittoria della Nazionale ai Mondiali di Spagna 1982. Nemmeno gli esami di maturità, sostenuti nel giugno di quell’anno, mi dettero particolare preoccupazione. Vivevo in un clima di euforia e spensieratezza, come si addice a chi ha poco più di diciotto anni e ha ancora la possibilità di sognare. Ricordo ancora il bel regalo che l’avvocato Bruno Pichi, il decano della stampa sportiva aretina, mi consegnò di persona al termine di quella stagione. Era un attestato per il lavoro svolto ma anche un segnale di stima personale che mi dette una grande soddisfazione.
Finito il campionato, arrivò il momento di pensare alla stagione seguente che si preannunciava impegnativa e ricca di novità. La prima di esse riguardò proprio il nostro gruppo di lavoro.
Poche settimane dopo la fine del torneo, durante un incontro amichevole in un locale cittadino, Donato Frangipani ci fece sapere che avrebbe lasciato la guida della redazione. Impegni di lavoro, e suoi personali, non gli permettevano di continuare la sua attività davanti al microfono.
Fu un dispiacere notevole e, nel momento in cui lo comunicò, ci rimasi molto male. D’altronde, se ero entrato alla radio due anni prima, era stato soprattutto per merito suo. Donato si rese conto del mio disagio e, nel salutarmi, mi dette un buffetto sulla guancia dicendomi: «Continua così, e avrai le tue soddisfazioni».
L’estate passò serena e tranquilla, tra la festa amaranto, quella degli azzurri e le vacanze al campeggio Maremma San Souci di Castiglione della Pescaia, dove con i compagni di avventure di allora, organizzavamo partite di calcio dalla durata interminabile, le quali si concludevano o per sfinimento, o per l’abbandono dei protagonisti.
Ad agosto iniziai a prendere confidenza con l’università. La scelta cadde su economia e commercio, sede di Firenze, Villa Favard, chiamata anche Palazzo Favard, in via Curtatone, angolo Lungarno Vespucci. Allora esisteva la possibilità della cosiddetta preiscrizione. Era una sorta di iscrizione anticipata, che lo studente poteva confermare prima della scadenza di novembre, o, viceversa, ritirare, se avesse deciso di intraprendere un altro percorso di studi. Mi presentai alla segreteria, in via Cittadella, per il ritiro dei moduli e vi sarei ritornato pochi giorno dopo per riconsegnarli, facendo una fila di media durata ma che, almeno a me, sembrò essere interminabile.
D’altronde, era l’epoca in cui, i cellulari erano quelli della polizia, Pc era ancora la targa di Piacenza e Facebook equivaleva a una parola incomprensibile, della quale nessuno si preoccupava di conoscere il significato.
L’altra novità importante maturò nei primi giorni di settembre, poco prima che iniziasse il campionato di Serie B. Severino e Daniele vennero a sapere che un’emittente radiofonica emergente, Radio Ok, voleva potenziare i propri servizi sportivi e aveva sondato la disponibilità della nostra redazione ad avviare un certo rapporto di collaborazione. Ciò voleva dire abbandonare Radio Onda di Pietramala, la radio nella quale eravamo cresciuti e grazie alla quale ci eravamo fatti conoscere. La cosa non fu indolore, soprattutto per il dispiacere sincero espresso dall’editore Raffaelli, il quale, nel ringraziarci del lavoro fatto, non pose comunque ostacoli al nostro trasferimento. Iniziava dunque un altro capitolo professionale e di vita: nuovo campionato e nuova emittente.
A ottobre, per la prima volta, salimmo le scale di Palazzo Chianini, in via Cesalpino, sede di Radio Ok. Ci accolse il direttore Umberto Zucchi, il quale subito, in modo garbato, ci fece da padrone di casa mostrandoci gli studi e spiegandoci i motivi per i quali eravamo stati contattati. Gli studi erano bellissimi, con sale di registrazione moderne e con un banco regia che sembrava simile alla pulsantiera di un’astronave. Ricordo ancora il primo volto che notai, davanti al microfono, durante questa visita guidata: fu quello di Patrizia Giommetti, poi diventata una delle conduttrici radiofoniche italiane più apprezzate, con una lunga presenza a Radio Subasio e in altre emittenti di rilievo nazionale.
Iniziava, dunque, un nuovo capitolo della storia. Daniele, Severino, io e Paolo Galletti, diventato corrispondente da Arezzo del Brivido sportivo, eravamo pronti a fare del nostro meglio.