Era una bella serata di fine novembre, quella di Taranto. Il clima, benché fossimo in autunno inoltrato, era mitigato dall’effetto del mare. Non era necessario indossare un soprabito pesante; il giacchetto di lana era più che sufficiente per coprirsi bene. E poi, in fondo, a diciotto anni appena compiuti, si riescono a sopportare con disinvoltura anche gli eventuali sbalzi di temperatura.
Lasciammo la tribuna e scendemmo negli spogliatoi insieme con i colleghi di Taranto. Notammo che le interviste ai protagonisti della partita erano fatte in una zona vicina agli spogliatoi, ma senza che esistesse davvero una sala stampa attrezzata allo scopo. La prima immagine che mi torna in mente è quella dell’allenatore del Taranto, Angelo Carrano. Carrano rispondeva alle domande dei colleghi disposti a semicerchio intorno a lui; il suo volto veniva rischiarato dalla luce delle telecamere, le quali rompevano il crepuscolo della sera dando un effetto ottico molto curioso.
Con molta sportività, sostenne che il Taranto aveva provato a vincere ma si era imbattuto in una squadra molto difficile da affrontare e che aveva meritato il pareggio finale. Ascoltavo quelle parole ed ero soddisfatto anche io: il suo giudizio corrispondeva a quello da me espresso durante la radiocronaca e appunto per questo mi sentii confortato per il servizio che avevo appena finito di fare.
Con queste premesse, tutte favorevoli all’Arezzo, avvicinammo anche Angelillo, il quale elogiò i suoi giocatori per il pareggio ottenuto e per la prova di carattere che avevano saputo offrire.
Fu in quel momento che il buon Severino tentò di approfittare della situazione. Attraverso Vittorio Fulini, e altri dirigenti amaranto presenti all’incontro, provò a chiedere ad Angelillo se fosse stato possibile rientrare ad Arezzo insieme con la squadra, in modo da risparmiare qualche ora di viaggio e una faticosa coincidenza di orari fra la linea adriatica e quella appenninica.
Non era, in realtà, una richiesta illogica, era semmai una questione di comodo, resa ancora più comprensibile dall’esito favorevole della partita. Non vi erano da risolvere neppure problemi di tipo logistico: il pulman aveva molti posti a disposizione e tanto sarebbe bastato per compiere il viaggio di rientro in disparte, senza né infastidire i giocatori, né turbare il loro riposo.
Angelillo, però, fu irremovibile. Niente da fare, tornate ad Arezzo come siete venuti, cioè con il treno. Severino rimase interdetto e a nulla servì la mediazione di Beppe Zandonà, uno dei giocatori di quell’Arezzo di maggiore personalità e tra i più ascoltati dall’allenatore.
Premesso che Angelillo non voleva la presenza di persone estranee sul pullman della squadra, salvo casi ritenuti eccezionali, il suo diniego aveva un piccolo retroscena: nelle settimane che precedettero la partita di Taranto, e in particolare in quella giocata a Livorno, finita 2-2, Severino aveva segnalato un lieve scadimento di forma di un difensore, Emilio Doveri, che Angelillo riteneva essere uno degli elementi più affidabili dell’intera squadra. Ne era nata una polemica piuttosto forte che proprio a Livorno era esplosa in maniera chiara durante l’intervista del dopo gara, nella quale Severino aveva dovuto fronteggiare la reazione rabbiosa dell’allenatore che giudicava senza motivo qualsiasi critica al giocatore. “La squadra è valida e va avanti con Doveri, che lo vogliate o non lo vogliate. Con me Doveri gioca!”, concluse Angelillo indispettito.
Doveri a parte, non ci restava che riprendere la via di casa. Avevamo solo da scegliere quale itinerario seguire: o la linea adriatica fino a Bologna, da dove saremmo rientrati ad Arezzo passando per Prato e Firenze; o quella tirrenica, attraverso Napoli. Scegliemmo la prima, più faticosa come numero di chilometri da percorrere, ma con i tempi delle coincidenze meno lunghi rispetto all’altra.
A Severino, la cosa non andò giù e nei primi chilometri del viaggio, mentre risalivamo lo stivale in direzione di Bari, lo 0-0 passò in secondo piano rispetto a quello che era accaduto negli spogliatoi. Perfino le immagini notturne delle città illuminate, in verità suggestive, non servirono ad alleviare l’amarezza per quanto era successo.
Sul treno incontrammo un distinto signore che risaliva dalla Lucania. Ci accompagnò fino a Bologna. Gli dissi che venivamo da Taranto, dove avevamo seguito la squadra della nostra città impegnata in un difficile impegno di campionato. Anche lui amava il gioco del calcio: un suo compaesano, col quale era rimasto in contatto nonostante si fosse trasferito da alcuni anni in America, aveva indossato, per diverse stagioni, la maglia del Perugia. Si chiamava Rocco Panio ed era stato avversario dell’Arezzo ai tempi della Serie B, quando amaranto e grifoni lottavano gli uni contro gli altri per procurarsi un posto al sole nel campionato cadetto. Trovammo quindi il modo di passare un po’ di tempo parlando ancora di calcio.
Il giorno dopo, all’ora di pranzo, eravamo ad Arezzo. L’avventura era conclusa. Ne sarebbero seguite altre, ma quella vissuta in Puglia conserverà, almeno per me, il fascino irripetibile della prima volta.