É l’immagine del mostro: occhi sgranati e bocca spalancata per incutere timore in chi lo osserva. È una rappresentazione di natura simbolica che arte e letteratura si incaricano di tramandare in molte opere pittoriche o scritte.
Si tratta di una figura dall’aspetto quasi caricaturale, simile al volto di un orco, e tale da suscitare un moto di inquietudine in tutti coloro che lo osservano. Come nell’arte simbolica, incarna, quindi, una potenza di natura malefica.
Un mostro palese, dunque, benché incapace di fare male. Se ne sta posato in un versante del bosco, noto anche con il nome Sacro Bosco di Bomarzo (Viterbo), pronto ad accogliere i turisti e i visitatori, i quali lo osservano come una delle principali attrattive del luogo delle meraviglie. Una scultura massiccia scolpita in peperino, cioè quel tipo di roccia vulcanica, tipica del viterbese, utilizzata dalle antiche civiltà per gli usi più disparati.
La realtà ci insegna, tuttavia, che quasi mai le rappresentazioni simboliche corrispondono a quelle reali.
I mostri autentici hanno, in fondo, un aspetto meno vistoso, quasi invisibile, e devono essere adeguatamente fronteggiati, e contenuti, proprio perché assai più subdoli di quelli narrati dalla cultura dell’orrore.
Pensiamo per esempio al bacillo che attanaglia le popolazioni di tutti i continenti dallo scorso mese di febbraio. Non è visibile, se non attraverso il microscopio, è silenzioso e non si manifesta subito. Eppure è in grado di nuocere più di qualsiasi altro mostro.
Lo sfogo della domenica è riferito proprio al coronavirus e al repentino incremento del numero dei contagi avvenuto nelle ultime settimane. L’aspetto più inquietante della vicenda è che la recrudescenza dell’epidemia sta avvenendo dopo un paio di mesi incoraggianti, durante i quali la diffusione del Covid-19 aveva subito un chiaro decremento.
Giornali e televisioni tornano, dunque, a occuparsi di questo argomento in prima battuta. Il Covid-19, che da un paio di mesi aveva lasciato i titoli di apertura dei notiziari alle notizie di cronaca, riprende, di nuovo, la ribalta dell’informazione. L’impressione è che continuerà ad averla, più o meno, fino a quando non sarà trovato un rimedio: un vaccino liberatutti da somministrare, in sicurezza, su larga scala, che renda immuni i pazienti da ogni eventuale forma di contagio.
Nell’attesa che la scienza faccia il suo corso, è indispensabile porre un occhio alla correttezza dei comportamenti, mantenendo, comunque, una condotta di vita prudenziale. Da questo punto di vista, la percezione del rischio è ondivaga, cioè incostante. Prevale, in alcuni, il desiderio di condurre la vita di sempre, quasi a dimostrare che l’esistenza del Covid-19 sia una finzione creata dai virologi. Altri, invece, giustificano il ritorno alla normalità col fatto che il virus abbia perso energia rispetto ai mesi iniziali, e, benché continui a circolare, non sia pericoloso come allora.
Nell’incertezza del momento, c’è chi si lascia andare a comportamenti poco responsabili, salvo poi indietreggiare quando si rende conto che l’emergenza sanitaria é reale, e maggiore di quella ipotizzata.
Individualismo o egoismo? Difficile dirlo. La parola più appropriata, a mio modo di vedere, è superficialità. È la superficialità che sta connotando gli atteggiamenti di alcuni, con la scusa che difficilmente il virus potrà renderli vittime del contagio.
In realtà esso continua a diffondersi e l’idea di riaffollare di nuovo le terapie intensive degli ospedali è una prospettiva che dovrebbe sconsigliare ogni tipo di condotta irresponsabile.
Una lotta contro il Covid-19, dunque, nel segno della coscienza. È sufficiente pensare a quanto di buono avevamo costruito fino a un mese fa, e alla speranza di lasciarci alle spalle, definitivamente, questo nostro mostro contemporaneo.
Buona domenica e scusate lo sfogo.