«Donne, è arrivato l’arrotino. Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da prosciutto. Ripariamo cucine a gasse, abbiamo tutti i pezzi di ricambio per le cucine a gasse».
Quante volte abbiamo sentito ripetere queste frasi? Per molte persone, soprattutto quelle non più giovanissime, la figura dell’arrotino era familiare. Benché la sua presenza nelle case non avesse una frequenza quotidiana, molti lo consideravano alla stregua di un mago, capace di risolvere le emergenze domestiche con le sue mani e la sua arte.
La voce che annunciava il suo arrivo era stentorea, simile a quella di un altoparlante e riecheggiava sia nelle strade della città, sia in quelle dei paesi di campagna.
La sua figura era particolare: giungeva in prossimità delle dimore altrui con un carretto ambulante, in bicicletta, o con un piccolo furgoncino, dotato di una mola, talvolta ad acqua, si faceva consegnare gli utensili da affilare e iniziava a compiere il proprio lavoro. Una sorta di taumaturgo, dunque, in grado di restituire piena dignità agli utensili che gli venivano affidati di volta in volta. Ogni suo giudizio veniva ascoltato come se fosse stato quello di uno specialista, alla cui raffinata precisione era affidato il corretto andamento della vita domestica, non solo in cucina.
Si parla di qualche decennio fa, ormai, e, anche se la figura dell’arrotino non è andata completamente perduta, possiamo dire che appare simile a quella delle specie naturali in via di estinzione.
Era un periodo storico diverso da quello di adesso, dove si riparava quello che si utilizzava e nel quale, al contrario di quanto accade oggi, si cercava di conservare gli utensili, e gli oggetti antichi, nel modo più accurato possibile.
L’esatto contrario, appunto, di quanto succede nel mondo contemporaneo, dove la tendenza prevalente è quella di gettare gli utensili non più funzionanti e comprarne di nuovi. D’altronde la stessa natura degli oggetti che vengono messi sul mercato sembra essere tale: sono concepiti per non durare in eterno e la loro perdita di valore, a forza di adoperarli, invita a sostituirli con altri più nuovi.
Lo sfogo di questa settimana è dedicato proprio a questo argomento. La civiltà contemporanea va in questa direzione e diventa impossibile nuotare in senso inverso rispetto alla corrente del fiume; è giusto, però, disperdere quelle manualità artigianali che hanno fatto la storia del periodo precedente a quello di adesso?
L’arrotino è una di queste, ma potremmo elencarne anche molte altre.
Nel momento in cui gli oggetti venivano creati per durare, custodivano, in loro, anche un riconoscimento simbolico per chi li aveva prodotti e per chi li aveva utilizzati e consumati. É naturale che l’impiego di materiali nuovi non renda più urgente il ricorso sistematico all’affilatura delle lame; tuttavia, a mio modo di vedere, sarebbe doveroso individuare la giusta combinazione tra le nuove esigenze del mercato e la tutela delle professionalità individuali. Ovvio, dunque, aprirsi alle esigenze del mercato, ma senza dilapidare quel patrimonio di conoscenze che ha fatto la nostra storia.
Perché dunque non proporre di adeguare questa antica attività all’epoca dilagante delle nuove tecnologie? Forse non avremo la possibilità di riascoltare quel tormentone lungo le strade che ne annuncia l’arrivo, ma potremo evitare di iniziare il nostro pensiero con la frase «C’era una volta» che, in questo caso, sa tanto di malinconia.
Buona domenica e scusate lo sfogo.