Dice che si diventa giornalisti per caso: un colpo di fortuna, un’occasione favorevole, una circostanza imprevedibile. In parte è vero, e anche l’esperienza personale di chi scrive ha seguito questo percorso. Un percorso nel quale sono stati di aiuto una dose elevata di curiosità e un interesse particolare verso lo sport, un settore che, dopo una pratica attiva in età adolescenziale, è diventato la porta d’ingresso al giornalismo professionale.
Lo sport mi è sempre piaciuto, sia come osservatore, sia come praticante. Alcuni anni di ginnastica artistica con i vigili del fuoco, un po’ di pallacanestro con squadre studentesche e soprattutto il calcio. Giocavo come portiere nella Tuscar Canaglia, all’epoca una delle squadre della provincia di Arezzo con il settore giovanile più numeroso.
Era la seconda metà degli anni settanta. Non me la cavavo male e mi fecero capire che con un allenamento costante era possibile «cavarci qualcosa». Non ero, quello che si dice, un portiere spettacolare, ma quando l’allenatore di allora, Gallastroni, decise di schierarmi, riuscii a ripagare la sua fiducia, prima nei giovanissimi e poi negli allievi. Mi aiutava la statura e, forse, anche il fatto di avere giocato a pallacanestro, uno sport dove il corretto posizionamento delle mani sul pallone è essenziale per fare bene. Il diavolo, però, ci mise la coda.
Durante una partita amichevole, quasi a voler dare una dimostrazione infantile di forza, pretesi di bloccare, anziché respingere, un tiro molto forte di un attaccante avversario: era di Firenze, si chiamava Caldari. L’esito fu l’opposto di quello desiderato. Il tiro fu così violento che mi provocò la frattura del polso destro e a nulla valse la soddisfazione di avere comunque impedito all’avversario di andare a segno. Fui ricoverato all’ospedale di Montevarchi, la frattura fu ricomposta senza anestesia e fu applicato un gesso da portare per quaranta giorni. Tanto bastò a far sì che mio padre decidesse per me: stop con il calcio giocato! Ne parlai con l’allenatore e mi defilai, senza rimettere più piede al campo.
A quel punto le scelte non erano molte. Avrei potuto continuare a fare attività sportiva amatoriale, come, in effetti, feci, ma con il calcio agonistico avevo perso il treno.
Potevo solo seguirlo da osservatore. La cosa, in fondo, non mi dispiaceva. Lo seguivo alla radio e in televisione fin da piccolo, e mi cimentavo spesso nelle radio-telecronache, offrendo un commento alternativo a chi seguiva la partita attraverso l’apparecchio audio o quello video.
Mi sostenevano la passione per l’Inter, accresciuta da una foto autografata di Mauro Bellugi, avuta in regalo nel 1969, e quella per l’Arezzo, la squadra della mia città.
L’occasione di scrivere il primo pezzo fu data da Antonio Morelli. Era il 1980. Antonio, che all’epoca era collaboratore di Teletruria e di Tuttosport, conosceva mia madre, la quale gli aveva segnalato il mio interesse per lo sport e per il giornalismo. Il buon Tonino si rese disponibile a leggere un mio articolo, promettendomi che, se fosse stato di suo gradimento, lo avrebbe pubblicato sul Boato. Era un periodico quindicinale distribuito in città alla vigilia delle partite casalinghe dell’Arezzo.
M’impegnai con scrupoloso fervore alla stesura dell’articolo, lo scrissi tre o quattro volte e alla fine lo consegnai. Passò una settimana di silenzio e di attesa fino a quando il giornale arrivò in edicola. Andai di corsa a comprarlo e vidi che il pezzo era stato pubblicato per intero, e con tanto di firma, nell’ultima pagina.
«Non posso prometterti nulla – disse Tonino – ma tieni duro e vedrai che l’occasione arriverà».
E in effetti, quasi per caso, arrivò. Non sotto la forma del giornale, ma sotto la forma, per me più accattivante, della radio.
Era il novembre 1980. Un’emittente radiofonica di Arezzo oggi scomparsa, Radio Onda di Pietramala, trasmetteva, ogni sabato, Anteprima sport, una trasmissione che anticipava gli avvenimenti sportivi della domenica. I tre conduttori (Donato Frangipani, Severino Baldi e Daniele Randellini) regalavano un biglietto omaggio per la partita casalinga dell’Arezzo a chi avesse risposto esattamente a una domanda da loro formulata. Si trattava di indovinare il risultato di una partita giocata dagli amaranto un paio di anni prima. Era necessario scriverlo su una cartolina postale, spedirla alla radio e aspettare il sabato successivo per conoscere l’esito del concorso. La gara in oggetto era Arezzo-Anconitana 2-0 del 1979. Feci come richiesto.
Il sabato successivo, nel tardo pomeriggio, poco prima dell’inizio della trasmissione, il telefono di casa squillò. Andai a rispondere di persona. Era Donato Frangipani, il responsabile del programma, già attore del Piccolo teatro Città di Arezzo, il quale si congratulò con me per l’esattezza della risposta e per la vincita del premio.
Prassi voleva che il conduttore scambiasse qualche opinione con il vincitore, in modo da conoscerlo meglio e avere un’idea più precisa della sua familiarità con il gioco del calcio.
Il dialogo telefonico, benché non troppo lungo, ebbe un esito sorprendente. Frangipani mi disse di presentarmi il giorno dopo in radio perché voleva conoscermi di persona e perché desiderava prospettarmi l’idea di avviare una collaborazione, inserendomi a pieno titolo nella redazione. «Ci conto», disse. «Domattina alle 12 siamo di nuovo in diretta. Vieni qui in studio a seguire la trasmissione».
E fu così che nel dicembre 1980 ebbi il primo contatto diretto con un microfono. Per la cronaca, quel biglietto vinto garantì un posto in tribuna coperta per Arezzo – Siracusa. Così come Arezzo-Anconitana, finì 2-0.