Sono passati quattro anni dal terremoto che devastò i territori dell’Italia centrale. L’intensità delle scosse fu forte e prolungata, forse la più elevata avvertita in quelle zone in epoca moderna, da quando, cioè, i movimenti tellurici sono rilevati con l’ausilio dei sismografi. Luoghi ricchi di storia e di civiltà furono sconvolti dalla furia degli elementi.
Non vi è dubbio che il momento del terremoto abbia segnato uno spartiacque nella storia di quelle località e nulla sia destinato a conservare la stessa fisionomia avuta prima del sisma. È vero che tutto si ricostruisce e si migliora, magari correggendo gli errori urbanistici compiuti in passato, ma è pur vero che le conseguenze del terremoto sono destinate a permanere nella sfera più intima di chi le subisce. Cambia la percezione del mondo e lo stesso sguardo verso la realtà esterna non ha più la stessa prospettiva di prima. Un po’ come osservare la realtà indossando un paio di lenti: l’oggetto è il medesimo ma la prospettiva con la quale viene osservata è modificata.
Lo sfogo della domenica prende spunto dalla ricorrenza del quarto anniversario del sisma e intende mettere in risalto la lentezza, perfino esasperata, con la quale sono state avviate le opere di ricostruzione. Uno sfogo, quindi, che, pur non puntando l’indice contro alcuno in particolare, vuol mettere in evidenza come la burocrazia e i lacci amministrativi siano deleteri e ritardino la ricostruzione di opere delle quali ogni persona civile avverte la necessità.
La perla dei Sibillini
Abbiamo scelto Visso, ma avremmo potuto optare per Amatrice, Pescara del Tronto, Acquasanta Terme e perfino Norcia, dove lo stato di avanzamento dei lavori è in grave ritardo e viene portato avanti con lentezza esasperante.
Molti possono essere i motivi di questo sfasamento: complessità delle procedure di molti interventi, soprattutto nei comuni più danneggiati, frammentazione degli appalti e, forse, la difficoltà dei comuni di reperire le professionalità adeguate da impiegare nella ricostruzione.
Era bello passeggiare per Visso, soprattutto nelle sere d’estate. Il fresco dei monti Sibillini, e l’abbondanza di acqua, facevano sì che le temperature restassero, comunque, su livelli accettabili, offrendo sempre la possibilità di refrigerio. L’ospitalità, per un piccolo comune di poco più di mille abitanti, era garantita. Oltre alla presenza di un paio di buoni alberghi, e a quella di vari agriturismi e bed and breakfast, la disponibilità di alcuni locali caratteristici, gestiti quasi tutti da persone giovani, consentiva di mettere i piedi sotto il tavolo e di degustare prodotti di qualità. Perfino il pesce era disponibile, con trote di notevole pregio, una parte delle quali proveniva dagli allevamenti poco distanti dal centro urbano.
Un caffè al Sibilla, magari corretto con una lacrima di anisetta, diventava l’occasione per dialogare tra gli abitanti del posto i quali, comunque, non disdegnavano di avviare una conversazione anche con i forestieri.
Questo piccolo mondo, che custodiva in sé qualcosa di romantico, è stato dunque brutalmente violentato dalla forza della natura.
Dov’è l’uomo?
A questo punto dovrebbe essere l’uomo, pur con tutti i suoi limiti, a prendere in mano la situazione, mettendo in campo le capacità personali e le conoscenze tecniche delle quali dispone. L’obiettivo è quello di restituire un futuro a questi luoghi e a tutti coloro che, giovani o anziani, hanno scelto di rimanere lì. La ricostruzione dunque, rimane qualcosa di ancora lontano. La speranza deriva dal fatto che la comunità sta ritrovando, in parte, alcune abitudini del passato, ma l’idea che un luogo un tempo pieno di vita corra il rischio di spegnersi sarebbe un insuccesso per tutti.
Buona domenica e scusate lo sfogo.